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Diciamocelo francamente: stavolta non l’ha spuntata l’uomo in panchina, che in tema di strategie sembra saperne sempre una più del diavolo. L’ha raddrizzata Gomez, punto e basta. La riedizione del 3-5-2 riveduto e corretto, ovvero de Roon basso e Cristante lanciato a briglie sciolte tra le linee, con le uniche varianti di Spinazzola al rientro e di Palomino dietro – con Masiello a virare a centrodestra -, non ha funzionato come invece aveva fatto alla grande due settimane prima a Reggio Emilia contro l’Everton. Sarà che il Lione è più giovane, pimpante, dinamico, tecnico e futuribile dei malandatissimi Toffees: Traoré è un fulmine di guerra che ubriaca il dirimpettaio di serpentine e ha colpi da campione, il parolaio Fekir che ha osato snobbare il Papu un mancino delizioso quando finalmente si decide ad accelerare aprendo spazi invitanti per tutti, Mariano là davanti un macigno, Ndombèlé un motorino inesauribile, Mendy un gran terzino d’assalto e così via.

Niente a che vedere, poi, quelli dietro, Marcelo e Morel, con statue di marmo stile Jagielka. Quando il trequartista centrale ha quel passo, inutile sperare che il tulipano al rientro da Middlesbrough, tutt’altro compasso e mobilità, possa seguirlo come un’ombra. E così in mediana l’unico sul pezzo è parso essere Freuler, pur in una sfida dove almeno un sesto dei passaggi nerazzurri sono stati lanci lunghi per scavalcare un reparto nevralgico più affollato e irto di ostacoli del previsto. Gian Piero Gasperini alla vigilia era preoccupato di non lasciar giocare i padroni di casa e al contrario i suoi hanno fatto di tutto per conceder loro modo e tempo per pensare quali soluzioni adottare, tra le palle perse di un Cristante fuori fase e di un Petagna incaponitosi nelle battute di dribbling ma mai in grado né di ricamare trame offensive né tanto meno di tenere alta la squadra.

Il cambio di modulo nella ripresa, con l’ingresso di Castagne e il contestuale spostamento dello sprecone Hateboer alto a destra nel 3-4-3, ha cambiato le cose solo perché l’Atalanta ha ripreso a macinare gioco opponendo forza e velocità a quelle degli avversari, sotto la spinta della necessità impellente di recuperare il risultato per mantenere salda la vetta del girone E di Europa League. E a decidere, oltre alla magia della punta di diamante, è stato il ribaltamento di fronte di Caldara, l’eroe a chilometro zero, il promesso juventino, l’uomo dai 4 recuperi decisivi, uno tanto tosto da affrontare a viso aperto un terzino fin lì impeccabile come Tete chiamandogli il fallo. In un match in cui, spirito e intelligenza emotiva a parte, s’è stati presi a pallate: 574 passaggi a 327, 24 cross a 11, 21 tiri totali a 5 di cui 7 a 1 nello specchio, 63 per cento a 37 di possesso palla.

 

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