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Oggi Ivan Ruggeri avrebbe detto settantatré

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La tragica curiosità delle sfide e dei suoi incroci del destino: il 14 ottobre per lui fu l’alfa, per il suo dirimpettaio nel Cielo Paolo Mantovani invece l’omega (1993). Se una maledetta emorragia cerebrale non l’avesse sottratto agli onori e agli oneri da grande uomo di sport quel lontano 16 gennaio 2008, per poi rubarlo per sempre alla vita e al calcio il 6 aprile di quattro anni fa, oggi Ivan Ruggeri avrebbe tagliato il traguardo delle settantatré candeline. E con ogni probabilità sarebbe ancora al suo posto, sullo scranno più alto di Zingonia, da proprietario e presidente della sua Atalanta, circondato dall’affetto della moglie Daniela e dei figli, Francesca e Alessandro, cui il consiglio di amministrazione aveva passato il testimone ventunenne nel settembre di quell’annus horribilis. Del suo lungo periodo al vertice si ricordano la banda dei ragazzini terribili di Giovanni Vavassori, settima da neopromossa all’alba del nuovo secolo, le sfortunatissime minusvalenze made in Beppe Marotta di Comandini (30 miliardi) e Saudati ma soprattutto le covate di baby di Cesare Prandelli (scudetto Allievi ’92, Primavera e Viareggio Cup ’93) e dello stesso Vava (Primavera ’98), rivendute poi a peso d’oro al netto del solo Gianpaolo Bellini: Morfeo, Tacchinardi, i gemelli Zenoni, Mister 27 miliardi Pelizzoli, Pinardi, Pazzini, Bianchi e Montolivo su tutti. E ancora, grandi giocatori di passaggio come Montero, Bobo Vieri e Pippo Inzaghi.

Sotto la sua guida, dopo aver rilevato la società (e la metà delle azioni in portafoglio) da Antonio Percassi nel febbraio del 1994, cinque purgatori in serie B (1994/95, 1998/99, 1999/2000, 2003/2004 e 2005/2006) e una finale di Coppa Italia nel ’96 persa con la Fiorentina in 14 anni come massimo dirigente, entrato ufficialmente nel mondo del pallone da brillante imprenditore attivo nel settore delle materie plastiche nel 1977 acquisendo il 19 per cento delle quote azionarie da Sergio Nessi, socio di minoranza di Achille Bortolotti. Il burbero Ivan, nemico irriducibile della violenza negli stadi fino a definire “caproni” gli ultras, sempre un po’ inviso al pubblico più esigente in curva che non gli rimproverava di essere di manica corta al calciomercato (mica vero, vedi sopra), fu anche protagonista della diatriba sulla questione stadio quando l’attuale patron avrebbe voluto costruirne uno nuovo di trinca sui suoi terreni di Grassobbio (“Se lo vuole fare deve fare i conti con l’Atalanta, altrimenti ci manderà a pascolare le pecore”).

Ma Ruggeri, bergamasco di provincia, nato a Telgate, non era solo calcio. Ciclista dilettante provetto, da dilettante finì quarto al Giro delle Asturie. Mortagli la madre, a 21 anni cominciò la gavetta da rappresentante di mobili e di bottoni, figlio com’era dell’omonimo distretto, per poi annusare l’affare nel recupero della plastica usata negli anni della prima crisi petrolifera. Aveva assaggiato anche la pallacanestro, col Celana e con l’Alpe, da vicepresidente sotto il marchio Binova ai tempi dalla serie A. Vicinissimo ai Bortolotti, specie al figlio Cesare, da consigliere nerazzurro si fece da parte con il primo ingresso in società di Percassi, a cui la famiglia avrebbe rivenduto il pacchetto di maggioranza con la mediazione di Roberto Spagnolo, ponte tra le due ere e oggi direttore operativo, dopo l’ultima retrocessione in B, il 4 giugno del 2010. In panchina, dapprima il duo (ereditato) Valdinoci-Prandelli, esaurita con un fallimento la scommessa percassiana di un Guidolin allora troppo avanti coi tempi, quindi il cavallo di ritorno Emiliano Mondonico, Vavassori (sostituito da Giancarlo Finardi nel playout del 2003 perso con la Reggina), Andrea Mandorlini, Delio Rossi, Stefano Colantuono che gli dedicò il 4-3 all’Inter a San Siro all’indomani della scomparsa e Gigi Delneri, artefice dell’ultimo calcio champagne a Bergamo prima dell’avvento di Gian Piero Gasperini.

Dulcis in fundo, le battaglie appassionate di chi credeva che l’Atalanta fosse “un piccolo Davide in mezzo a tanti Golia. Abbiamo raccolto. Saremo provincialotti, fuori dal tempo. Ma siamo le formichine di cento anni fa”, come ebbe a dire in occasione del Centenario nel 2007. Tutela dei settori giovanili, diritti televisivi cercando di strappare una fetta della torta un po’ meno magra e anche tifosi sopra le righe, oggetto dei suoi strali: “Certa gente non la voglio più nel mio stadio”, la sua sentenza dopo gli incidenti dell’11 novembre 2007 che costrinsero alla sospensione di Atalanta-Milan per le proteste di tutte le curve in seguito alla tragica morte di Gabriele Sandri. Una presa di posizione che in città gli valse quegli ingiusti “Ruggeri vattene”. Ma chi è entrato di diritto nella storia di un club alla periferia del grande impero merita solo un commosso ricordo e un appassionato rimpianto.

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