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L’album dei ricordi – L’ultimo brindisi del Frasquito Moralez

36 in A, altrettanti in B, un paio in Coppa Italia. I rendez-vous fra Atalanta ed Hellas Verona sono il libro aperto di una sfida storica fra due regine delle provinciali. Con una prevalenza abbastanza decisa da parte bergamasca, 33 vittorie a 20, per un quoziente reti di 84 a 66. Cifre corroborate dal fattore campo, che una volta coi due punti in palio incideva molto più di oggi: all’ombra delle Mura Venete, 21 bottini pieni a 6 per i nerazzurri, 45 palloni in porta contro 24. Dalla ridda di numeri asettici emerge anche il ricordo agrodolce del nanetto che quel 20 settembre di due anni fa sbucò di testa sul traversone del Papu Gomez, suo compagno nella Selecciòn Under 20 bronzo nel Sudamericano in Paraguay e oro nel Mondiale in Canada nel 2007. Una sorta di passaggio di consegne, col senno di poi.

Il colpo di frusta in elevazione di Pisano otto minuti più tardi, al ’97, anche a distanza di tempo non ha il potere di togliere la poesia di quell’ultimo tappo fatto saltare alla bottiglia dal frizzante Maxi Moralez detto Frasquito, 159 centimetri di delizie tecniche a tutto pasto, spuntato nell’occasione dal blocco del ben più aitante Cristian Raimondi nel precedente scontro diretto in casa contro i gialloblù in serie A per la rete numero 20 in quelle che in seguito saliranno a 148 presenze da atalantino. Il 31 dicembre il fantasista santefesino, quello che El Tanque Denis voleva alle sue spalle per essere più libero di colpire, sarebbe passato ai messicani del Leon prima di accasarsi al New York City.

Quel confronto da uno a uno tra gli strateghi Edy Reja e l’ex Andrea Mandorlini, con Pierluigi Gollini a guantoni invertiti, Giampaolo Pazzini con la rivalsa in canna (avrebbe firmato il 2-1 in rimonta al ritorno) e Jankovic espulso a dieci dal novantesimo per un’entrata da tergo su Masiello costatagli il secondo giallo, ricorda lo stesso score di un’altra battaglia epocale. Quella tra la neopromossa di Nedo Sonetti e la magica banda dei miracoli di Osvaldo Bagnoli del 12 maggio 1985, il punticino dell’ineguagliabile scudetto in riva all’Adige, zuccata in tuffo di Eugenio Perico su slalom e cross mancino di Roberto Donadoni pareggiata dal sinistro in mischia di Preben Elkjaer-Larsen, il Cornelius dell’epoca un po’ meno pertica. Tutti simboli di un calcio romantico che lascia più d’un rimpianto, vedi l’ex Pietro Fanna, svezzato a Bergamo, un’ala tornante dal controllo di palla ambidestro in corsa che a rivederlo oggi in video fa ancora spellare le mani dagli applausi.

Detto che il segno 1 nella massima serie manca dal 23 settembre 2001 (incornata di Doni al 27′) e il 2 dal 19 aprile 2014 (1-2: l’ennesimo ex Donati al 53′, Toni al 72′, Denis all’87’), sul filo della nostalgia non è un peccato ricordare le due avventure cadette sotto l’egida del Mandorlo, un tipetto da calcio spettacolo o niente a seconda dell’ispirazione. Al “Bentegodi”, il 4 ottobre 2003, surclassati (Gautieri, Budan e Myrtaj) gli avversari guidati dal bergamasco (di Gorlago, come i Savoldi e il Gallo Belotti) Sandro Salvioni. All'”Atleti Azzurri d’Italia”, invece, un bigiognolo giovedì 4 marzo 2004 Italiano e Papa Waigo portarono a casa con Sergio Maddè in panca una vittoria importantissima per la salvezza. E la Dea, decisamente sulle ginocchia nel girone di ritorno, avrebbe chiuso quinta tornando al piano di sopra con qualche affanno imprevisto.

 

https://youtu.be/4hxBlRlhzWg

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