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Auguri a Sergio Magistrelli: un 13 in una stagione sola

Oggi spegne 66 candeline uno degli eroi del calcio formato anni settanta, quando il campione non era ancora divo ma si limitava a inseguire la gloria facendo leva su talento e passione da sognatore coi tacchetti ben piantati per terra. Doveva ancora venire l’era dei procuratori, tra ricatti e minacce in cerimonia coi direttori sportivi. Sergio Magistrelli, omonimo del grande e compianto Luciano che avrebbe quasi sfiorato la B dalla panchina della Virescit, 13 anni in meno, milanese di Roveda di Sedriano e non di Bareggio, all’Atalanta ballò una sola stagione prima di cambiare casacca sposando il nerazzurro più ricco, quello dell’Inter. Come tanti prima e dopo di lui, da Carletto Ceresoli e Severo Cominelli fino a Roberto Gagliardini passando per Angelo Domenghini.

Nella Beneamata, nell’annata del ritorno fallimentare del Mago Helenio Herrera, gli andò malaccio: 2 palloni in porta in 14 allacciate di scarpe. Ma in quel 1971-1972 agli ordini di Giulio Corsini questo centravanti giramondo, 17 anni di professionismo con 85 presenze e 17 gol in A più 283 e 73 in B, giocando anche con Palermo (illusorio vantaggio nella finale di Coppa Italia a Roma col Bologna il 23 maggio ’74, poi pareggiata da Savoldi su rigore al 90′ e persa ai rigori), Sampdoria, Lecce e Francavilla dopo gli inizi nel Como con il futuro laziale Renzo Garlaschelli, fece abbastanza furore. Era il classico ex predestinato dal carrierone rimasto in canna, a dispetto anche di 3 infilate in 4 match con l’Under 23 azzurra, da scoperta di Livio Prada in riva al Lario come Gigi Meroni anni prima.

Qui, però, tutto okay. Tanto da essere stato una delle plusvalenze di quei tempi: Achille Bortolotti, presidente da nemmeno un paio d’anni, aveva l’occhio lungo per le giovani promesse. Settebello in campionato, quanto basta per essere il capocannoniere dei bergamaschi in una squadra salva con tre turni d’anticipo, ma nella casella dei marcatori un tredici che nemmeno al totocalcio. Merito del gol alla Ternana (1-1 al “Liberati”) nel girone F di qualificazione di Coppa Italia e soprattutto della cinquina piena nel Torneo Anglo-Italiano, dove risolse al 91′ il 3-2 in remuntada al Sunderland (13′ Lathan, 40′ Watson, 78′ Doldi, 81′ Moro) per poi calare il poker nel 5-3 al Leicester: 23′, 57′, 85′ e 91′; di Weller al 33′, Sammels al 56′, Bianchi al 73′ e di Moruzzi (autogol) all’84’ le altre marcature.

Non bastò (occhiale coi Black Cats e 6-0 dai Foxes nel ritorno) per accedere alla finale, vinta poi dalla Roma sul Blackpool, ma la memoria di quel 2 e 4 giugno di 35 anni fa sotto la Maresana è ancora viva tra gli appassionati che hanno superato gli “anta” da un pezzo. Era una Dea piena zeppa di nomi famosi da queste e altre parti: l’ala Emiliano Mondonico, troppo beat e anarchico per sfondare, il mediano al fosforo Ottavio Bianchi che avrebbe vinto 2 scudetti, 1 trofeo della Coccarda e 1 Coppa Uefa col Napoli di Maradona, l’arcigno stopper Giovanni Vavassori e un certo Antonio Percassi, allora neo maggiorenne che timbrò due volte il cartellino proprio nello scomparso torneo. Augurissimi.

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