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Auguri ad Alemao, la monetina dello scudetto

C’era una volta Alemao, il napoletano onorario che si bergamaschizzò e nonostante la non troppa gloria sotto questi cieli, figlia dei molti acciacchi di una vicenda pallonara spesa senza risparmiarsi, divenne un idolo tanto da essere ricordato tuttora con affetto. La torta la mangia oggi, il brasiliano dall’aspetto crucco come il suo soprannome, che in campo faceva la cabeça-de-área come Falcao ma con la grinta ante litteram di un Gattuso e un fisico solido come una quercia. Ma c’è ancora il famigerato episodio che ogni tanto, riaffiorando alla memoria di neo cinquantaseienne, gliela farà andare di traverso. A dispetto di una parabola professionale onoratissima, e non solo nel Belpaese: cresciuto nel Botafogo e sdoganato in Europa dall’Atletico Madrid, vinse al battesimo del fuoco coi Ciucci di Ottavio Bianchi, Maradona e Careca la Coppa Uefa segnando nella finale di ritorno a Stoccarda, lo scudetto delle mille polemiche, la Supercoppa Italiana (1990), la Coppa CONMEBOL (1994), la Recopa Sudamericana (idem) e la Coppa Master di Coppa CONMEBOL (1996). Mettiamoci pure la Copa America in verdeoro, toh, conquistata nell’edizione di casa (’89) insieme ai castigamatti Bebeto-Romario, Taffarel, Branco, Tita, Silas e Pluto Aldair. Non è mica vero che il ct, l’oriundo di Vigolo Sebastiao Lazaroni, quello della “partitaccica” e del fallimento fiorentino, fosse poi così scarso.

Alla fine della sua carriera italiana, prima di tornarsene a svernare in patria con San Paolo e Volta Redonda, a Bergamo ci venne a giocare e a vivere. Abitando in Città Alta, in via San Lorenzo, un angolo fatato e nobilissimo laddove il viale delle Mura s’inerpica verso la Corsarola, di fronte la Porta San Giacomo con il suo leone alato a dominare sfacciato la pianura. Eppure all’ombra della Maresana, al “Comunale”, era diventato l’infelice sinonimo di un mezzo imbroglio, la monetina da 100 lire tirata (pare) dalla Curva Nord che annullò le distanze del suo Napoli – allenato da Albertino Bigon – col Milan. Era insomma l’8 aprile del 1990, minuto 32 del secondo tempo, un occhialetto piuttosto noioso in maglia rossa contro gli uomini del Mondo, quando Ricardo Rogerio de Brito detto Alemao, brasiliano del Minas Gerais con ricci protesi a mascherare un’incipiente stempiatura e baffi da ussaro, uno che la gamba non la tirava mai indietro anche perché sapeva benissimo dove metterla e perché, venne caldamente invitato ad accasciarsi al suolo dal massaggiatore Salvatore Carmando, detto Sasà ‘a vecchiarella.

Il resto ormai appartiene alla storia, tra le fanfaluche del presidente Ferlaino che asserì di non essere stato riconosciuto in ospedale dal giocatore, prontamente sostituito da un Gianfranco Zola alle prime armi, la vittoria a tavolino da regolamento dell’epoca e le prove tecniche di getto di valuta metallica a Villa San Martino rivelate a posteriori del patron milanista Silvio Berlusconi, come dire che se non fa male a me figurati a quel cristone. Che era bravo senza essere un fenomeno: 133 partite e 14 gol in azzurro in riva al Golfo, dove conobbe anche Albertino Bigon in panchina. 42 (2 in Coppa Italia) e 2 (uno decisivo nel 2-1 a Udine del 18 aprile ’93, il primo pari nel 2-2 nella tana della Roma il 23 maggio) in nerazzurro nel biennio 1992-1994.

Dove conobbe il Marcello Lippi da settimo posto in una squadra trascinata dai gol di Ganz e dalla fatica lì nel mezzo dei muli come lui, Bordin, De Agostini (Stefano) e Minaudo. Ma purtroppo anche quella di Guidolin (dalla cui cacciata fino a metà dicembre finì in pratica fuori rosa, accusato di simulare dolori al ginocchio sinistro per non allenarsi) & Valdinoci-Prandelli, col moviolatissimo campione d’Europa marsigliese Sauzée, che naufragò in B trascinando a fondo la prima presidenza Percassi. Un bravo professionista e un onest’uomo, Ricardo, che non voleva saperne di mollare l’amatissima numero 5, e di quel fattaccio non si pentì mai perché sì, aveva ceduto alla ragion di stato, l’aveva ammesso il giorno della presentazione. Ma anche se trauma cranico non era, ragazzi, che male cane a quel cuoio capelluto su cui ben presto avrebbe fatto capolino una chierica che levati. Auguri, campione.

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