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Da Prytz a Osvaldo, compleanno per quattro

58, 52, 46 e 32. In un calcio da video-analisti e statistiche sulle prestazioni acchiappate col Gps, dare i numeri è inevitabile. Figurarsi se si tratta dell’inesorabile legge anagrafica. Nella fattispecie, sono le candeline spente oggi. Da una contraddizione vivente agli stereotipi fisici che vogliono gli svedesi slanciati e aitanti, da un’ala da tridente esplosa nel Foggia zemaniano e da due meteore dell’attacco con alterne fortune. Il 12 gennaio dell’Atalanta propone nel menù la torta per un assortito quartetto di giocatori che a Bergamo è passato, sfilando a pelo d’erba in epoche diverse davanti a un pubblico appassionato, non sempre lasciando la traccia permanente di sé. Perché quella nerazzurra è una maglia da sudare e meritarsi, se non sei più che bravo con la palla finisci per andare a calciarla altrove.

Start d’obbligo per il migliore del lotto, Robert Prytz, una delle perle del presidente Cesare Bortolotti, centosettanta centimetri di centrocampista tracagnotto che a 19 anni aveva sfiorato la Coppa dei Campioni all’Olympiastadion di Monaco contro il Nottingham Forest, mobilissimo e di rara efficacia, arrivato nell’estate del 1988 a far compagnia al connazionale Glenn Stromberg e protagonista, nell’anima del gioco di Emiliano Mondonico, di un sesto posto da neopromossa reduce dalle semifinali di Coppa delle Coppe che valse la qualificazione alla Coppa Uefa. Di suo, il ricciolo che poi sarebbe andato al Verona al posto di Claudio Caniggia e aveva già la bacheca pienotta (1 titolo e 2 Coppe di Svezia nel natìo Malmö, 2 Coppe di Lega scozzese coi Rangers, 1 Coppa di Svizzera allo Young Boys), ballò una sola stagione, impreziosita da 2 gol (al Bologna, dopo aver sbagliato il rigore autoprocurato per fallo del Mitico Villa, e al Pescara di Galeone in cui militava un certo Gian Piero Gasperini) in campionato (30 filate) e altrettante (Monza e Bari nel secondo turno) in Coppa Italia (10 presenze), competizione chiusa alle soglie della finale dalla Sampdoria, all’anticamera del suo terzo successo.

La lista-amarcord prosegue con il torinese Roberto Rambaudi, della premiata ditta con Ciccio Baiano e Beppe Signori, il trio delle meraviglie dell’attacco dei Satanelli guidati dal boemo col perenne sigaro a fior di labbra (allora si poteva), tanto che la rimenava sempre ai compagni in allenamento. E il settepolmoni Giuseppe Minaudo una volta gli rispose pure malaccio, immortalato da un fuori onda malandrino dalla Gialappa’s a “Mai dire gol”. Era la Dea di Antonio Percassi atto I e Marcello Lippi che colse il settimo posto nel 1992-1993. E Rambo era una sorta di gemello del gol di Maurizio Ganz. Sei gol da cinque vittorie e un pari, alla faccia dell’amuleto: nei 2-1 contro Parma e Foggia, 3-2 nella tana della Samp, un altro paio di 2-1 ad Ancona e Udinese (fuori) inframmezzati dal 2-2 casalingo con la Lazio, la sua destinazione per ricongiungersi col maestro due annate più tardi. Da dimenticare quella successiva, perché con un Francesco Guidolin troppo avanti per l’epoca e la strana coppia di traghettarori Andrea Valdinoci-Cesare Prandelli fu retrocessione: in ogni caso, 57 e 8 timbri in A e un tris di match nel trofeo della coccarda, che poi avrebbe vinto insieme alla Supercoppa Italiana nel ’98 in biancoceleste, con Eriksson in panchina.

Chiosa per il duo da toccata e fuga sotto le Mura, Carlo Taldo e Pablo Osvaldo. Uno da serie B e C dopo l’esordio-addio al piano di sopra appena maggiorenne, cresciuto nel fertile vivaio di Zingonia, e un giramondo mai diventato grande davvero a dispetto delle attese. L’attaccante meratese, oggi direttore sportivo della Primavera del Genoa, fisico da prima punta longilinea, gioca gli ultimi 4 minuti e spiccioli nell’1-1 di Cremona il 28 gennaio del ’90 al posto di Giorgio Bresciani per poi darsi al tour infinito tra Pro Sesto, Saronno, Varese, Lumezzane, Cesena, Como, Modena, Catania, Tritium e Legnano (135 gol nei soli campionati). L’estroso argentino naturalizzato, invece, è più noto come plusvalenza: arrivato in Italia dall’Huracan nell’estate del 2005, l’ex cebollita del Lanùs contribuisce alla risalita dell’Atalanta di Colantuono (comparsate contro Cremonese e Arezzo, cabezazo del 2-2 a Pescara), finisce in comproprietà al Lecce, viene riscattato a 1 milione 600 mila e rivenduto a 4,5 alla Fiorentina. La voce dal 2016 (scarpe appese al chiodo) dei “Barro Viejo” all’attivo ha lo scudetto del 2014 con la Juventus e un pellegrinaggio spesso stanco e svogliato tra Fiorentina, Bologna, Espanyol, Roma, Southampton, Inter, Boca Juniors e Porto. 100 gol in 314 partite da professionista, più 4 in 14 azzurre da oriundo. Si poteva fare di più.

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6 anni fa

Auguri grande come pochi

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6 anni fa

io c’ero un grande auguri

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6 anni fa

Auguroni !!!

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6 anni fa

Auguri!

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