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Gli 85 di Maschio, dall’Atalanta alla Grande Inter

A Bergamo si fece un triennio, al culmine del quale, da azzurro titolare in quanto oriundo, essendocene pochissimi altri con la sua classe e la sua visione di gioco, fu una delle vittime sacrificali della “Batalla de Santiago”, la macelleria cilena con naso fratturato (da Leonel Sanchez) e due espulsi (Ferrini e David) che costò l’eliminazione nel girone ai Mondiali del 1962. Humberto Dionisio Maschio Bonassi, origini pavesi (almeno quelle che gli regalarono il passaporto della terra degli avi) e natali ad Avellaneda, prima di riempire la bacheca di trofei (scudetto con l’Inter di Herrera nel ’63, Coppa Italia e Mitropa con la Fiorentina nel ’66, quindi titolo argentino, Libertadores e Intercontinentale con la Academia, il Racing), fu anche atalantino felice.

Oggi ne compie 85, il fenomeno che fungeva da regista offensivo in un altro calcio e disegnò note indimenticabili sullo spartito la sotto la Maresana, da prodotto dell’Arsenal Lavallol svezzato dal Quilmes e diventato grande con la albiceleste della città natale. Un fuoriclasse che nella Copa America vinta in Perù dalla Seleccion nel 1957 innescava Angelillo e Sivori, con Corbatta e Cruz sulle ali, una front line nota come Los Carasucias, valsa poi il nomignolo degli “Angeli dalla faccia sporca” ai tre che sbarcarono nel Belpaese a miracol mostrare. In Sudamerica si giocava con uno schema iperoffensivo chiamato diagonal, da interno di punta El Bocha – soprannome di Maschio – al Bologna (1957-59) si sentiva troppo esposto, con la sua andatura flemmatica da tango e da futbol bailado, alla caccia agli stinchi degli implacabili difensori italiani.

Sfuggito a Bencic, a Sarosi e al catenacciaro Foni, all’ombra delle Mura ebbe modo di rinascere agli ordini di Ferruccio Valcareggi. Il sesto posto con 11 gol in campionato nel 1961-62, frutto anche dei suoi superbi piazzati a foglia morta, gli spalancò l’autostrada per la Milano del Biscione nello stemma, quella di papà Moratti e del tecnico connazionale che lo usava come cambio di lusso dalla cintola in su, una sorta di vice Suarez innanzitutto.

Un fantasista appartenente a un altro pallone, all’intersezione del romantico con l’artistico, al riparo dalle cineserie tattiche del giorno d’oggi. Un uomo dal piede morbidissimo che scrisse 26 in 84 presenze (presidente il senatore Daniele Turani, ma il mercato lo faceva Luigi Tentorio), al servizio dei Nova, degli Olivieri, dei Magistrelli e del primo Domenghini, sbarcato alla Beneamata come lui ma con un biennio di ritardo. In tempo per chiudere l’esperienza tricolore nella Viola di Beppe Chiappella prima di ritornare alla base. E vincere il mondiale per club, dalla panchina, nel 1973, l’Interamericana e la principale competizione per club dell’America Latina in sella agli arcirivali cittadini dell’Independiente, Los Diablos Rojos. Augurissimi, campione.

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6 anni fa

Tanti auguri !!

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6 anni fa

Auguri

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6 anni fa

Uno degli angeli della faccia sporca

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6 anni fa

Tantissimi auguri

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6 anni fa

Humberto ti ricordo con nostalgia. Un grande. AUGURI!!!!

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6 anni fa

A Bergamo Maschio a disputato i migliori campionati della sua carriera.
Chi l’ha visto giocare non potrà mai dimenticarlo!

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6 anni fa

Sergio Pittis

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6 anni fa

Uno dei più forti giocatori che indossare o la nostra maglia. Lo vidi giocare il campionato prima che andasse all’Inter. Lui è Favini fermavano una coppia di centrocampisti fra i più forti del momento. Quanta nostalgia.

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