Nel ricordo della Liberazione d’Italia, la storia del fu mister orobico e membro della resistenza ungherese.
Il 25 Aprile, giorno fondamentale per la storia del nostro Paese, ha la valenza di simbolo della vittoriosa resistenza militare e politica attuata, durante la seconda guerra mondiale, dalle forze partigiane contro i nazi-fascisti.
È proprio in questi anni, caratterizzati da atrocità e nefandezze, che le vicende belliche si incrociarono con la poco nota figura di Géza Kertész, allenatore, tra le altre, dell’Atalanta (1938-1939).
Nato a Budapest nel 1894, dopo essersi messo in luce con la formazione locale del Ferencváros, il mediano magiaro arrivò in Italia nel ’25, acquistato dallo Spezia.
Dopo un’ annata in Liguria, Géza appese le scarpe al chiodo e intraprese una lunga e fruttuosa carriera da allenatore nel nostro paese. Dalla Salernitana alla Catanzarese, dalla Lazio al Catania, dove conquistò la prima storica promozione degli etnei in B. Nell’annata ’38-39 fu anche a Bergamo: nonostante l’ottima stagione non riuscì, però, a portare la Dea in Serie A, a causa della sconfitta all’ultima giornata contro i rivali del Venezia.
Durante la seconda guerra mondiale, complice l’interruzione del campionato italiano, decise di tornare in patria. Nel ruolo di tenente colonnello dell’esercito, costituì, assieme all’ ex-compagno di squadra Tóth, un’organizzazione di resistenza, salvando decine di ebrei e partigiani dai lager nazisti. A seguito delle diverse delazioni presso la Gestapo, venne arrestato nel dicembre del ’44 e poi ucciso, nell’atrio del Palazzo Reale. Fu fucilato, assieme all’amico Tóth, il 6 Febbraio del ’45: qualche giorno prima della liberazione di Budapest.
Oltre ad essere stato un mister di successo, Kertész è passato alla storia come un martire della patria, recando il messaggio che, di fronte alle ottusità dei totalitarismi, ognuno è chiamato a rispondere alla propria coscienza di essere umano.