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Bergamo e l’Atalanta, legame speciale e unico

Su Rivista Undici il giornalista bergamasco Cristiano Gatti spiega l’unicità di un rapporto fondato sul sangue e sull’attaccamento ai colori

Il legame tra l’Atalanta e i bergamaschi? Niente lo esemplifica meglio della maglietta nerazzurra che il presidente Antonio Percassi regala ai neonati. Così comincia l’analisi di un rapporto specialissimo a cura del giornalista Cristiano Gatti sul numero 20 in edicola del bimestrale Undici, che pubblica anche su web col nome di rivistaundici.com.

MARKETING E TERRITORIO. Il vertice societario, che quella maglia l’ha indossata da arcigno difensore, ha fondato il suo progetto e l’idea di marketing conseguente giocando sulla naturale identificazione tra bergamaschi e atalantini. Due sinonimi, insomma, che corroborano con le solide fondamenta del campanile e della tradizione il calcio contemporaneo con le sue novità: lo stadio di proprietà su tutte, comprato dal Comune l’anno scorso.

UN MODELLO UNICO. L’Atalanta è assurta a simbolo di società che da espressione del territorio porta le famiglie a vedere le partite e investe sul settore giovanile, in un mondo in cui spesso le prime squadre schierano undici stranieri. Un’espressione sportiva che è un patrimonio sociale, che fa crescere i ragazzi del territorio e non, cullandoli. Come Gaetano Scirea, incontrato dalla firma orobica sull’autobus dallo stadio verso la Malpensata e la Casa del Giovane. O come quelli, sfornati in casa o altrui, che Gian Piero Gasperini getta nella mischia dell’epopea ancora in corso.

GATTI, L’EMIGRANTE ATALANTINO DI RITORNO. Gatti porta a esempio del richiamo ancestrale per la Dea la sua vicenda personale. Nato a Perth, in Australia, mezzo secolo dopo la fondazione della società (1907), “a quaranta giorni di nave da Bergamo”, perché gli emigranti viaggiavano solo così, per lui la squadra del cuore è l’evocazione della terra d’origine lontana ma vicina al cuore, insieme alla polenta, attraverso i racconti del padre. Un piccolo atalantino pronto al rientro in patria nei primi anni sessanta. Il battesimo del fuoco da tifoso? Una domenica da caldarroste ospitando la Juventus, nel 3-3 del 29 ottobre 1968, partita vista nella terza fila dal basso dietro la bandierina del corner. E una passione che tempo e vicende non hanno stemperato, nonostante il ritiro dal calcio giocato e da un sogno dopo un annetto di vivaio.

 

 

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