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Geo il Commandos: “Tifo sfrenato sì, fumogeni mai”

Il capo storico nonché ultimo presidente del mitico gruppo curvaiolo nerazzurro non si riconosce nella cultura del tifo attuale: “Noi solo sbandierate più tamburi. E idoli, in campo e fuori”

Due gol del Sarajevo a tradimento e fumogeni lanciati sopra la testa di Berisha. Prima, durante e dopo. Roba che negli anni settanta, i tifosi del FK, autore del 2-2 al sapore di colpaccio con l’Atalanta di coppa dai due volti, un tempo li avrebbero alzati da terra. Solo metaforicamente, per carità: “Una volta uno dei nostri, il Baffo, si presentò con un piccolo lanciarazzi e ne sparò uno. Il direttivo si riunì il giovedì in Borgo Santa Caterina e lo espellemmo. Siamo ancora in ottimi rapporti, nulla di personale”. Parola di Ruggero Longhi Zanardi, celebre come Geo, parlata aristocratica da cittadino illustre – e una foto con Belen Rodriguez “invidiatissima, durante una delle diciannove ospitate a ‘Quelli che il calcio'” – ma anche esponente di un mondo ultras che oggigiorno a Bergamo non ha eredi.

Insomma, ai tempi niente fuochi d’artificio e niente intemperanze.
“Ci mancherebbe altro. Striscioni, bandiere, sbandierate col Lucio Bazzana in prima linea e ventuno tamburi. Fine. Unica regola, il tifo sfrenato. Anche sfottò e insulti con le altre tifoserie, ci mancherebbe, ma nella correttezza. Niente scazzottate, figurarsi gli agguati. Chi andava sopra le righe veniva messo alla porta. E a fine partita, tutti a casa”.

Esiste ancora una cultura del tifo simile?
“Esiste il filo comune della solidarietà. La Curva Nord di oggi la fa come noi ai tempi. Comunque io ultras mi ci sento tuttora. E non è che siamo stati molto longevi: dal 1971 al 1982, io dei Commandos sono stato l’ultimo presidente. Ci sciogliemmo quando la proprietaria dell’immobile dove ci ritrovavamo ci chiese il triplo dell’affitto. Eravamo una cinquantina, il Daniele Belotti che era un ragazzino era la nostra mascotte. Ora ci rivediamo sotto Natale in venti-venticinque. La passione e il tifo non muoiono mai”.

Altri ricordi da referente di un gruppo storico senza eredi?
“Il Collegio Filippin di Paderno del Grappa, in provincia di Treviso. C’era anche Cesare Bortolotti, un amico fraterno che rimpiango: ho ottimi rapporti con Umberto, il Trofeo a nome del padre Achille e del fratello per me è un appuntamento fisso. C’erano altri rampolli della Bergamo bene, il Franchi delle sementi, il Mazzoleni della ferramenta industriale. E l’insegnante di nuoto era l’arbitro Luigi Agnolin: una volta mi espulse dalla piscina per due mesi… Quando arbitrava a Bergamo, Cesare mi faceva entrare nel suo stanzino”.

Un idolo del tifo di allora e uno personale di oggi.
“All’epoca stravedevamo per Augusto Scala, che tra l’altro segnò anche nel 2-1 al Cagliari nello spareggio di Genova: la libertà fatta giocatore, una classe immensa. Il mito però resta Ezio Bertuzzo. Oggi come oggi? Il mio calciatore ideale è il Papu Gomez”.

 

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