Il brasiliano naturalizzato, 87 anni oggi, partecipò al sesto posto di Valcareggi e alla Coppa Italia di Tabanelli, senza però giocare la finale col Torino. Ministoria di un fuoriclasse
Non amava troppi fronzoli e, seppur da poliedrico che da centravanti non disdegnava affatto lunghe parentesi (anche stagionali) da mezzala, il brasiliano Dino da Costa, oriundizzato in tempo per partecipare (con gol) alla disfatta di Belfast del ’58 con cui l’Italia si giocò la partecipazione ai Mondiali svedesi, anche nel biennio all’Atalanta si dimostrò un fuoriclasse di concretezza. Stile a parte, roba da carioca cresciuto nel Botafogo con Garrincha e il futuro napoletano-vicentino Vinicio, il neo ottantasettenne di Rio de Janeiro ritiratosi a vivere a Verona è al numero 64 fra i cannonieri di tutti i tempi in serie A: 108 reti (22 da capofila, in giallorosso, nel ’57) in 282 match, di cui 18 (6 e 12) nei due campionati nerazzurri (19 e 33), quello del sesto posto con Ferruccio Valcareggi del 1961-1962 e quello successivo che vide Paolo Tabanelli e i suoi vincere la Coppa Italia, unico trofeo in bacheca, grazie al tris di Angelo Domenghini nella finale di San Siro col Torino.
IL GRANDE ASSENTE. Ma da Costa il 2 giugno del 1963 non c’era, in campo col 9 andò l’argentino Salvador Calvanese, passato da Catania, un po’ come il Papu Gomez oggi. E la scena se la prese Domingo da Lallio. Ma Dino ne aveva messe 3: nel primo turno a Como (4-2 ai supplementari), nel 2-0 al Padova ai quarti e il matchball al Bari in semifinale. Arrivato in autunno con le liste suppletive dalla Capitale, in realtà giocò abbastanza spesso col 10 e anche con l’8, che prese nel ’63 dopo la partenza di Humberto Maschio, per la presenza di Chico Nova e del citato Calvanese.
UNA CARRIERA ITALIANA. Sbarcato nel ’55 in Italia, si mise subito in evidenza nella Roma (71 gol, ottavo posto nella storia del club dopo Totti, Pruzzo, Volk, Amadei, Montella, Balbo e Manfredini), con cui vinse la Coppa delle Fiere (antesignana della Coppa Uefa) nel 1961, quando la competizione giungeva alla finale a fine settembre. Nel 1960-1961, accoppiata trofeo della coccarda-Coppa delle Coppe nella Fiorentina. Quindi, dopo Bergamo, tre annate alla Juventus (Coppa Italia ’65) sotto Heriberto Herrera per chiudere nell’Hellas e nell’Ascoli. Da allenatore, invece, fu attivo nel Piceno, nelle giovanili bianconere e in quelle della città d’adozione. Trascinò inoltre la Dea fino alle semifinali col Vasas Budapest della Mitropa Cup edizione 1962. Tanti auguri.