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I 77 di Domenghini, dalla Coppa Italia alla gloria interista

domenghini

L’ala destra di Lallio fece grandi tre squadre dopo essere cresciuto nell’oratorio vicino casa e nel Verdello: nel palmarès, anche lo storico scudetto del Cagliari

Di testa, irrompendo sulla punizione di Flemming Nielsen dalla destra. E due volte di sinistro, prima sull’asse Veneri-Magistrelli e quindi scartando mezza difesa per punire il contrasto di Buzzacchera con una bordata sotto la traversa. Quel 2 giugno del 1963 Angelo Domenghini scrisse la storia dell’Atalanta, regalandole contro il Torino la Coppa Italia, unico trofeo nella bacheca del club. Ma anche la propria, spianandosi la strada di una carriera luminosa. Il più grande calciatore bergamasco di tutti i tempi compie oggi 77 anni.

LUCI A SAN SIRO. Il 3-1 di San Siro anticipò di una stagione, quella che si fece ancora in nerazzurro dopo essere cresciuto nell’oratorio di Lallio, dove il padre gestiva un’osteria in faccia alla chiesa del paese mantenendo sette figli, e nel Verdello, la gloria di “Domingo”. Cioè l’Inter di Helenio Herrera e del presidente Angelo Moratti. Con cui vinse due Coppe Intercontinentali e due Coppe dei Campioni tra ’64 e ’66, oltre agli scudetti ’65 e ’66, cui avrebbe aggiunto quello storico nel Cagliari di Gigi Riva nel ’70, riservandosi anche gli Europei italiani del ’68 con la Nazionale. 33 presenze e 7 reti, grandi numeri anche a difesa della patria, portata in alto anche ai Mondiali messicani del ’70: secondo posto dietro il Brasile decidendo personalmente i quarti contro la Svezia, così come aveva salvato capra e cavoli due anni prima pareggiando la finale poi ripetuta con la Jugoslavia.

DAL PAESE AL TETTO DEL MONDO. Ala destra classica, più attaccante che tornante, sempre puntando l’uomo per il cross o tagliando in direzione della porta ma anche difendendo, Domenghini faceva segnare ma segnava parecchio anche di suo. Più di un centinaio (27 in 85 match in nerazzurro), circa uno ogni quattro allacciate di scarpe, in una parabola proseguita con Roma, Verona, Foggia, Olbia e Trento, smettendo trentottenne. E il suo nome divenne quasi il sinonimo di superiorità numerica. Forse per un’ansia da superamento umano: nato povero, quando il dottor Giuseppe Brolis, poi responsabile del vivaio atalantino, lo proiettò dal Verdello al doppio impegno alla Magrini e alla Dea, arrivò in prima squadra che pesava 52 chili appena per 1,75 di statura. Ne avrebbe aggiunti 14 col tempo, esordendo il 4 giugno ’61 nel ko per 2-1 a Udine grazie al tecnico Ferruccio Valcareggi, che lo avrebbe reso titolare fisso in azzurro. Vinto il trofeo della coccarda con Paolo Tabanelli, a Bergamo ebbe pure Carlo Alberto Quario, protagonista dello sfortunato primo turno con spareggio di Coppa delle Coppe con lo Sporting Lisbona (in cui lui segnò al 74′ nell’andata, prima del bis di Calvanese all’86’, il 4 settembre ’63; sconfitte per 3-1 a Lisbona e nel barrage a Barcellona) e il suo cambio in corsa Carlo Ceresoli. Tanti auguri.

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