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Papu-Percassi: il legame di ferro alla base dei successi

Il rapporto tra Papu Gomez e la famiglia Percassi sembra a prova di bomba e di calciomercato: la conferma arriva costantemente dai diretti interessati. Senza Papu non c’è Champions

“Col Papu c’è un legame fortissimo anche fuori dal campo. Non scorderò mai quel settembre 2014, nei nostri uffici: siamo cresciuti insieme e insieme siamo in Champions. L’orgoglio dirigenziale e l’affetto fraterno: nelle sue ultime dichiarazioni alla stampa, un Luca Percassi solitamente sempre abbottonato e misurato, avvezzo a pesare le parole sul bilancino, stavolta s’è comunque lasciato andare. Svelando il segreto di Pulcinella, nel senso che il pubblico dell’Atalanta, che alle ragioni dei bilanci preferisce il cuore e la passone, l’ha sempre saputo: senza la leadership di Alejandro Gomez, e senza il filo rosso che lo unisce alle strategie della famiglia presidenziale, club e squadra il gran salto non l’avrebbero compiuto nemmeno per scherzo.

IL PAPU E I PERCASSI. Tutto è partito dal salvataggio in corner del Papu quando, da giocatore militante nel Metalist Kharkiv privo di qualunque intenzione di morire da soldato nella guerra coi russofoni, nell’estate del 2014 furono i Percassi a insistere per strapparlo dal suo albergo-rifugio per farne il nuovo moloch intorno a cui costruire il progetto. Forse ancora fumoso, ai tempi, avvolto nelle nebbie delle incertezze a transizione in corso da undici da salvezza, costruito fin lì sull’asse Luca Cigarini-Maxi Moralez-Tanque Denis, a qualcosa di diverso.

DAL COLA AL GASP, DA GOMEZ AL PAPU. Giunto non proprio in forma agli ordini di Stefano Colantuono, che lo vedeva più che altro come esterno alto e quindi essenzialmente come sostituto di Jack Bonaventura, passato al Milan, Gomez conobbe poi un ulteriore passaggio tecnico-tattico sotto Edy Reja nella stagione e mezza (quasi) successiva, dopo l’esonero a fine inverno del tecnico di Anzio. Lui che nel Catania faceva di fatto solo l’ala sinistra con Rolando Maran e Vincenzo Montella, con lo stratega friulano, un altro a cui affidare l’usato sicuro senza staccare dalle vecchie abitudini datate fin dal 2011 col ritorno in serie A, fu impiegato quasi sempre a mancina nel tridente stile artiglieria leggera col Frasquito sull’altro lato e il panzer al centro, oppure nel 4-2-3-1 quando alla banda si unirono Alino Diamanti e Marco Borriello.

PAPU, PERCASSI E GASP: LA TRIADE. Gli altri due argentini, il corto e il lungo, se n’erano già andati, rispettivamente a dicembre e gennaio. Mezza annata da unico rioplatense in rosa, sempre la prospettiva di una salvezza tranquilla il giusto (con la panchina divisa a metà, invece, una faticaccia) ed ecco Gian Piero Gasperini, al secolo il Gasp. Nick da monosillabo al cospetto del suo bisillabo da unico faro rimasto dall’epoca del plenipotenziario Pierpaolo Marino. La virata dei Percassi su Giovanni Sartori, affiancandogli poi come direttore generale Umberto Marino, è netta e senza indugi.

GASP E IL PAPU, DA PUNTA A LEADER E BASTA. Un monosillabo, l’uomo del nuovissimo corso targato Europa, con una saggezza da trittongo: Papu punta effettiva con Andrea Petagna centravanti nominale e Jasmin Kurtic – poi rimpiazzato da Bryan Cristante – tra le linee, dove adesso gioca proprio lui. Che dall’ottobre dell’anno scorso, vedi cinquina sul campo del Chievo, ora fa il 10 e basta, avanzando solo come misura estrema, in mancanza d’alternative. Dall’Europa League alla Champions, che il bonaerense con la fascia al braccio e Bergamo nel cuore non sia più l’uomo da 16 gol e 15 assist nel 2016-2017 ormai lo sanno anche i muri. Ma tutto gira intorno a lui, è lui il cardine dei sogni di grandezza. E poi adesso c’è Duvan Zapata, “quello che finalizza”. Parola di Luca Percassi. Che di amuleto, di braccio armato, di mente pensante per coagulare ogni sforzo favorendo il ricambio generazionale ne ha uno soltanto: una figurina di 165 centimetri chiamata Papu Gomez.

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