Due giorni da squadra blindata per l’Atalanta in Champions, ma le precauzioni per l’emergenza Coronavirus non finiscono certo qui: porte sempre chiuse
Porte chiuse a Zingonia, porte chiuse al “Mestalla” di Valencia, porte chiuse anche in Champions, tra albergo e cene monouso con sole 30 persone tra i non calciatori ad assistere alla partita di ritorno degli ottavi di finale sugli spalti. L’Eco di Bergamo rivisita i due giorni di trasferta di un’Atalanta blindata per l’emergenza Coronavirus nella Communitat autonoma.
CHAMPIONS BLINDATA. 38 ore in isolamento totale, tra lunedì e martedì, lontani dal Centro Sportivo Bortolotti, cui poi s’è fatto ritorno pernottandoci come domenica notte e come i giocatori a loro scelta da qui almeno fino a sabato. In hotel ci si è arrivati dopo la partenza alle 9 per imbarcarsi a Orio al Serio alle 10 con Pierluigi Gollini già infortunato al mignolo sinistro, poi fasciato. E il soggiorno è stato senza contatti col personale.
ATALANTA BLINDATA E ALL’OSSO. Solo all’arrivo nell’aeroporto locale la comitiva nerazzurra ha avvertito la pressione della folla, coi giornalisti malamente allontanati dal Papu Gomez. Tra i dirigenti, oltre a Luca Percassi, Umberto Marino (dg), Roberto Spagnolo (do) e Carlo Semprini (segretario). E soltanto il cuoco si è occupato dei pasti, certamente non al tavolo. Lunedì alle 18 al “Mestalla” e martedì mattina sul campo del Levante gli allenamenti prepartita: alle 19 la partenza per lo stadio, dove in tribuna non c’erano più di 30 spettatori, ovviamente degli staff delle due contendenti. Alla fine, cena al sacco e non negli spogliatoi, consumata prima di imbarcarsi per il ritorno.