L’ex tecnico nerazzurro: “Sono a Bergamo da 47 anni, penso di conoscere un po’ la mia terra e la mia gente, che ha in testa innanzitutto il lavoro. Ora ci serve un po’ di conforto”
Bergamo e Brescia sono due delle città più colpite dal coronavirus, ma sono anche le piazze che hanno seganto la vita e la carriera – da calciatore e da allenatore – di Ottavio Bianchi: “Sono a Bergamo da 47 anni, penso di conoscere un po’ la mia terra e la mia gente, che ha in testa innanzitutto il lavoro. È tutto fermo, adesso, e non siamo in grado di stabilire cosa accadrà dopo, perché il pericolo maggiore sta per arrivare. Il telefono adesso è un tormento: hai paura che ti chiamino per dirti che un parente o un amico sia scomparso. Ho davanti agli occhi, ogni notte, le immagini delle bare portate sui camion militari. È la scena più dolorosa a cui abbia assistito. Vorremmo il conforto della scienza ma spesso i virologi sono in contrasto tra di loro. C’è fumo nelle teorie e psicologicamente si fa sempre più dura“.
Ai microfoni del Corriere dello Sport, Bianchi ha annunciato che presto uscirà una sua biografia firmata dalla figlia Camilla: “Con prefazione di Gianni Mura, che mi manca e non è possibile immaginare quanto. Ci eravamo sentiti quando era già a Senigallia in convalescenza: aveva letto il libro, ovviamente, e si è messo a scherzare con me, ha dato un gran bel voto a Camilla, ha ricordato certi pranzi che facevamo io, lui e Garanzini, e ne aveva già prenotato un altro. E io gli avevo detto: Gianni, bisogna controllarsi, dobbiamo metterci a dieta. Risposta: quella la fai tu, che a mangiare ci penso io“.