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La curiosità: Dotti, l’atalantino della maxi squalifica

10 giornate ridotte a 6 per una tentata aggressione a Lo Bello, il miglior arbitro italiano dell’epoca: per Dotti squalifica e addio dopo un’ulteriore stagione

Una doppia stagione da retrocesso e mancato ripromosso prima di finire al Venezia ritirandosi trentaduenne. Non un palmares nerazzurro sontuoso, anche se a Bergamo poi l’interessato si sarebbe pure fermato a vivere. Ma vuoi mettere una decina di giornate di squalifica, benché ridotte a sei, per aver tentato di mettere le mani addosso al miglior arbitro dell’epoca? Il record non troppo invidiabile dell’indisciplina, in casa Atalanta, appartiene tuttora a Piero Dotti (terzo in piedi da destra nella foto di copertina) da Castelfranco Emilia, 81 primavere oggi e, in un passato lontano, quella voglia matta di risolverla con le brusche con Concetto Lo Bello nella partita persa in casa con la Fiorentina. 9 febbraio 1969: Maraschi la mette a un quarto d’ora dalla fine, il pubblico tenta di invadere il campo come aveva fatto il 19 gennaio prima nel 2-2 con la Roma poi tramutato in 0-2 a tavolino, a cancelli pressoché sfondati. La squadra dovette affrontare il Vicenza due settimane più tardi sul neutro del “Martelli” di Mantova.

DOTTI E LA MAXI SQUALIFICA. Dotti, numero 5 che allora era affidato allo stopper nonostante i suoi esordi nel calcio nella Mirandolese da mediano e il prosieguo da jolly nel quinquennio al Messina e nel trienno (da libero) alla Lazio, veniva dall’Inter, un’annata e via, e non temeva certo il confronto dialettico col principe dei fischietti. Il quale sorvolò nell’occasione su un fallo di Rizzo su Dordoni nell’azione del matchball ospite (vedi ritaglio di Stampa Sera in coda) di Maraschi per poi doversi rinchiudere negli spogliatoi a partita finita fin almeno alle sette di sera. Squalifica di un turno del campo e dieci per Dotti, che giocava in marcatura con Ivan Bertuolo libero e tornò solo il 6 aprile col Palermo, quando il tecnico della Primavera Silvano Moro aveva già sostituito Stefano Angeleri in panchina. Inutili a inevitare la caduta in B le tre giornate finali sotto il comando di Carletto Ceresoli. Sergio Clerici come bomber non valeva Beppe Savoldi, ceduto al Bologna nel Sessantotto.

DOTTI, ATALANTINO SFORTUNATO. 16 presenze in campionato nella prima annata, condite da 3 in Coppa Italia e da un incontro su due in Mitropa Cup con la Stella Rossa Belgrado; 9 in cadetterìa e 1 nel trofeo della coccarda all’addio, con la triade di allenatori Corrado Viciani-Renato Gei-Titta Rota e la staffetta presidenziale consumata in primavera tra Attilio Vicentini e Mino Baracchi, quello della crono a coppie. Un downgrade al ruolo di riserva, per Dotti, all’anagrafe Pier Luigi, dovuto a Giuseppe Zaniboni e in misura minore a Giuliano Castoldi, mentre l’anno prima a insidiarlo al massimo c’era Paolo Signorelli. Cambiò pure il numero 6, stavolta l’oriundo rioplatense Miguel Longo, ma niente da fare, gloria rinviata. E Dotti, primo festeggiato per l’anagrafe di oggi, mercoledì 6 maggio, a quota 81, va a chiudere trentaduenne in Laguna. Con quel “Ma perché dobbiamo averceli tutti contro” e l’aggressione a Lo Bello sventata dal duo Tiberi-Poppi al 5′ dalla fine dopo il classifico fallo di conclusione. Pubblico inferocito e a caccia della giacchetta nera, al grido di “Duce, duce!”, e vetri del pullman viola rotti. Altri tempi. Ah, i toscani si aggiudicarono lo scudetto.

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