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Ferretti, tre anni con Gasperini a Pescara: “Con Galeone e Junior dettava già la strategia”

Stefano Ferretti era una mezzala sinistra che a Pescara si adattò a terzino per la compresenza di Gasperini e Junior: “Un punto di riferimento, il suo successo non mi sorprende”

“L’Atalanta è la squadra italiana con la mentalità più europea: attacca alternando cinque o sette giocatori, un capolavoro tattico. Ma del resto Gian Piero Gasperini dettava già la strategia in campo nel Pescara di Galeone e Junior”. Stefano Ferretti (secondo da destra in piedi nella foto), nell’acquario felice di quel Delfino da zona pura e 4-3-3, dovette adattarsi: “Ero una mezzala sinistra, ma feci più che altro il terzino perché nella mia posizione c’era Gian Piero, capitano della promozione che poi cedette la fascia a Leo. Io ero appena arrivato, mi giocavo il posto e in allenamento, partitelle uno contro uno da 45 secondi con dribbling e tiro, una volta lui non riusciva proprio a saltarmi mai. E disse al mister: ‘Cavoli, ne abbiamo preso uno forte davvero'”.

FERRETTI E IL GASPERINI DI PESCARA. Romano e laziale, di tifo e di formazione calcistica, Ferretti del Pescara è stato una bandiera: “Ci giocai 7 anni, fino al 1994. L’aneddoto della partitella dimostra quanto Gasperini fosse già capace allora di esprimere giudizi su compagni, avversari e questioni di campo – prosegue il sessantenne capitolino, candeline il 2 marzo, attuale allenatore della Vis Subiaco -. Era lui, spesso, a dettare le posizioni in partita, dando consigli alla difesa e all’attacco. Era sempre lui a parlare della strategia con Galeone: un ragazzo di grande intelligenza tattica, un punto di riferimento cui tutti davano credito e retta”.

GASPERINI: EREDE DI GALEONE? “Da Giovanni Galeone il Gasp ha ereditato sicuramente il calcio propositivo, offensivo, spettacolare, bello a vedersi. L’idea di giocarsela con tutti senza fare distinzioni Il 3-4-3 o 3-4-1-2 invece è un suo marchio di fabbrica personale – osserva il jolly biancazzurro dell’epoca -. A Pescara lui era mezzo sinistro, un centrocampista di qualità e quantità; davanti alla difesa c’era Onofrio Loseto, Leo Junior inventava da mezzodestro. Un campione brasiliano di esperienza, classe e prestigio: Gian Piero proprio per questo gli cedette la fascia da capitano, che pure era sua. Galeone, però, già il secondo anno in A pagò lo scotto al suo essere refrattario ai tatticismi difensivi: retrocedemmo anche perché non erano previsti argini particolari contro avversari di rango, quindi essendo tempi di grandi giocatori ai massimi livelli bastava un metro concesso e tanti saluti. Non ci dava mai indicazioni su raddoppi o sulla linea difensiva da stringere”.

FERRETTI: GASPERINI E L’ATALANTA EUROPEA. “Non mi stupisce il successo di Gasperini all’Atalanta. Faceva già benissimo al Genoa, adesso ha anche più qualità nella rosa a disposizione. Dei nerazzurri colpisce la capacità di attaccare in massa alternando gli uomini, spesso con uno dei tre centrali difensivi che accompagna l’azione cercando spazio per il passaggio – rimarca Ferretti -. Come tecnico è bravo a infondere autostima: gioca sempre guardando avanti, agevolando gli inserimenti. Si prende consapevolmente dei rischi, ma con la paura non si potrebbe fare strada in Europa e tantomeno in Champions League. La sua bravura nel portare uomini in attacco si nota subito”.

IL GASP SECONDO FERRETTI. “Ci ho giocato insieme soltanto tre stagioni, ma a parte il giudizio lusinghiero che diede di me davanti a Galeone devo dire che si tratta di una persona seria, scrupolosa, con valori autentici – chiude l’ex compagno -. Va detto che è molto orgoglioso e senza peli sulla lingua: per questo, secondo me, all’Inter può avere incontrato difficoltà nella gestione dello spogliatoio e nei rapporti con la società. A Bergamo uno che dice le cose in faccia come lui deve aver trovato l’ambiente ideale e i risultati lo dimostrano. Ci siamo visti l’ultima volta cinque-sei anni fa a Coverciano: lui a ritirare un premio, io al corso allenatori. In finale di Coppa Italia non ero all’Olimpico, ma avrei tifato per la Lazio perché al cuore non si comanda. Lui e Simone Inzaghi sanno dare vita a duelli da calcio spettacolo come pochi altri: merito della mentalità e dell’etica del lavoro che condividono”.

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