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L’Atalanta e il calcio ai tempi del Covid: curare i malati e lasciare in pace atleti e tifosi è così difficile?

atalanta

La seconda ondata del Covid-19 sta rimettendo in discussione le già fragili certezze del mondo del calcio. L’Atalanta? Uno strumento per non cedere alla paranoia collettiva

S’assiste quotidianamente, anche da questi schermi, al conteggio dei casi di Covid-19 scovati nella società civile e quindi anche nel calcio che, se non proprio lo specchio, dovrebbe costituirne il principale veicolo d’evasione. Anche quello che un tempo era il divertimento solo del fine settimana non va esente dal contagio, lo stesso spauracchio delle narrazione massmediatica che in un primo momento tra inverno e primavera l’aveva stoppato per lunghi mesi, trasformandolo poi in uno sport a singhiozzo dove il protocollo e i tamponi fanno più notizia delle belle giocate e dei gol. La stessa Atalanta, immagine di marca di un territorio tra i più colpiti durante il picco, tanto da essere identificato come quello dei camion militari per portare le bare nei crematori oltre confine, ha avuto e continua ad avere i suoi positivi. Marco Sportiello a marzo e aprile, il trio Pierluigi Gollini-José Palomino-Duvan-Zapata tra agosto e settembre, recentemente il neo trentenne Rafael Toloi che da celerissimo negativizzato deve comunque farsi la quarantena di due settimane (gliene manca una) e infine Marco Carnesecchi, tra gli “infettati” senza un solo sintomo in Under 21.

IL CALCIO AI TEMPI DEL COVID: PAURA O RINASCITA? L’informazione e la comunicazione nel Belpaese sono martellanti, ansiogene e minacciose. Vedi continui riferimenti a nuovi lockdown, non bastasse la mazzata anche economica del primo: non è che si campi di smart working. E finiscono per mettere sul chi vive anche serissime società professionistiche come quella nerazzurra, dove il rigoroso riserbo e il rispetto per la privacy dei presunti malati che malati non sono né saranno mai prevalgono sulla poca voglia di farsi mettere alla gogna col ditino puntato. La mascherina vi salva la vita, ripetono dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. La socialità? Un pericolo, a meno che non ci si distanzi tutti come atomi, bardati come manifestanti da sassate e lacrimogeni anni settanta. La narrazione del terrore, della paura stessa di vivere, buttando i morti addosso ai vivi. Purtroppo c’è chi abbocca, autorizzando misure estreme la cui utilità è materia di interrogativi infiniti. Il consenso fondato sulla minaccia del castigo, anche nel mondo del pallone, cogli atleti additati al pubblico ludibrio: vergogna, fuggono dalla bolla, grida il popolino. E sì che proprio lo svago più amato era assurto soltanto a giugno, alla ripresa delle competizioni, a simbolo della rinascita di una società e di un Paese completamente con le terga a terra.

IL COVID E LA PAURA. Certo, il singolo cittadino può essere comodamente tacciato d’imprudenza. La trasmissione involontaria, visto che per campare tocca pure respirare e magari interloquire col prossimo per non impazzire del tutto, è più di assenza di sintomi che di una malattia concretamente attiva. I contagiati sono per più di nove decimi in isolamento. Preoccupa, casomai, la pressione ospedaliera, ma anche qui i dati sono con quelli del picco c’entrano come i cavoli a merenda. Fermarsi davanti al Covid, di cui è bene ricordare che si è morti soprattutto perché i protocolli OMS-governativi erano sbagliati e a un sacco di gente i polmoni li hanno bruciati anziché rivitalizzarli, senza contare le patologie pregresse e l’alta età media di gran parte delle vittime, significa arrendersi a numeri sciorinati per colpevolizzare la popolazione. Coi casi rilevati dai bastoncini coi reagenti inferiori fino a nove volte rispetto a marzo e aprile, ovvero dal 28 per cento dei testati a quasi il 3 e mezzo, c’è il caso che l’uomo della strada facendosi i conti della serva possa anche scoprire che una nuova normalità è non solo possibile, ma sacrosanta. Nella vita di tutti i giorni, dal passeggio al lavoro, dalla famiglia tra le quattro mura al divertimento nei santuari dell’attrezzo di cuoio passando per la vituperata movida, mantra da restacasisti imperterriti che vorrebbe significare l’antitesi del deserto urbano.

IL COVID SEDUTI AL BAR E ALLO STADIO. In discussione, insieme di fatto e di diritto alla libertà d’impresa e a tutte quelle individuali, c’è ormai perfino la quota mille allo stadio. Una illusoria parvenza di normalità, una boutade per fingere che il calcio abbia ancora un pubblico che non sia quello meramente televisivo. Una cosa francamente di una tristezza inenarrabile, benché ammantata di sacro per gli inviti estesi a medici e infermieri, eroi che hanno combattuto a mani nude un nemico che non è più nemmeno lo stesso e ora possono farlo cogli strumenti adatti. No, così non va. In una società di sani principi che badi davvero alla salute pubblica si curano i malati. Si prevengono le malattie e la loro diffusione, senza però seguitare a punire il lavoratore, il giovane che osa divertirsi e il tifoso, costringendoli a sacrifici di dubbia utilità sanitaria e legittimità giuridica. Qui non si tratta nemmeno della mordacchia di stoffa imposta su bocca e naso, la cui assenza viene sanzionata mentre i delinquenti veri – la mascherina non è una legge – se la ridono allegramente, essendo i controlli orientati sui sani che pretendono di vivere e respirare liberamente. Nel mentre, uno starnuto a scuola vale gli isterismi degli altri e l’emarginazione a suon di controlli per chi si permette di lasciarselo scappare. Il delirio.

L’ATALANTA CONTRO IL COVID: RIDATELE I TIFOSI. Si tratta di convivere con un pericolo dalla mortalità ben al di sotto del prefisso telefonico circoscrivendolo. Ovvero curando chi si ammala sul serio. Lasciando in pace tutti quanti, asintomatici compresi, che ove rintracciati si fanno la quarantena e amen. Protocolli, tamponi, limite agli ingressi in palasport e stadi, con la conseguenza che nel calcio dilettantistico e negli sport al chiuso la capienza ridotta ne risulta comunque enormemente dilatata (un quinto indoor, un terzo outdoor: al Gewiss Stadium, per dire, entrano mille su ventuno mila…) rispetto al pallone all’aperto in quegli spazi enormi chiamati stadi. Molto ondivago e con la puzza sotto il naso ‘sto Corona. Il virus sottostà forse alle regole incongruenti che gli vogliamo appiccicare addosso per non stare appiccicati noi? Forse non è ora di darci un taglio così netto e definitivo, visto che esistono fasce a rischio per età e patologie, quelle sì da proteggere, ma che senso ha consentire una vita normale seduti al ristorante ma non in piedi, al chiuso, mentre all’aperto gli atleti si sfidano testa a testa o naso a naso senza il pubblico sugli spalti? Ridate all’Atalanta il suo. Se lo merita, ce lo meritiamo tutti. E guai a scaricare sui cittadini manchevolezze e colpe della politica e di una scienza che pare aspettare i miracoli di Bill Gates. Oppure la farsa prosegua pure, e allora si mettano gli eroi del calcio in ritiro permanente fino a giugno. Così nessuno dirà che la peste del 2020 è elitaria, se arriverà al punto di imporre sacrifici ai milionari.

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Cocco 187
Cocco 187
3 anni fa

Molto ben fatte invece le due tabelle comparative messe alla fine dell articolo
.complimenti.

Cocco 187
Cocco 187
3 anni fa

Articolo pieno di incongruenze. L autore dice giustamente che non bisogna vietare, ma prevenire. Quindi non bisogna punire i giovani che osano divertirsi o i tifosi costringendoli a sacrifici di dubbia utilità. E quali sarebbero questi sacrifici? Indossare la mascherina ed evitare assembramenti, due cose che se non rispettate sono veicoli di diffusione del virus. E il far rispettare queste due semplici regole è appunto PREVENZIONE.

giovanni premarini
giovanni premarini
3 anni fa

Ma come si fa, in terra bergamasca più che altrove, a scrivere tale demenzia. Al di la della bellezza del calcio, che tornerei domani a vedere “a l’atalanta”(allo stadio…), non è accettabile che si metta in discussione la gravità di questa pandemia declassandola a semplice influenza solo perché si deve tornare a l’atalanta! Ma gentile Fornoni: lei non ha avuto nessun defunto a causa di questo virus? Fortunato! Perché io ho perso: mia mamma, due suoi fratelli e un figlio di un quarto fratello (mio cugino). Una famiglia annientata in 10 gg! E per fortuna che i numeri oggi sono… Leggi il resto »

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3 anni fa

Moreno Philips

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3 anni fa

Vogliamo tornare allo stadio! Basta mascherine! Vogliamo la nostra libertà

Massimo matteini
Massimo matteini
3 anni fa

Ci stanno togliendo la libertà,la voglia di vivere,le nostre passioni,ci rimane per chi è fortunato il lavoro,dobbiamo riprenderci la libertà. VIVI O SEI GIÀ MORTO

Massimo matteini
Massimo matteini
3 anni fa

Grande articolo complimenti

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