Promozione in serie A dopo una sola annata di purgatorio: col Modena risolve il milanese. A marzo ’58, il Caso Azzini
Dal cosiddetto Caso Azzini, la presunta combine tra il faccendiere del pallone Gegio Gaggiotti, l’ex Bepi Casari e appunto Renato Azzini detto la Ruspa, che si sarebbe fatto volontariamente sfuggire il doppiettista Gianni Zavaglio (di Pierluigi Ronzon il gol d’apertura) in Padova-Atalanta 0-3 del 30 marzo 1958, il club nerazzurro sarebbe stato prosciolto nel novembre dell’anno successivo. La Dea, retrocessa all’ultimo posto dalla Commissione di Controllo FIGC il 29 giugno dell’anno del fattaccio, risalì comunque in serie A sul campo alla prima occasione: quel 7 giugno 1959, il rigore al settantacinquesimo di Rino Marchesi al Modena al “Comunale” valse il primo posto nel campionato cadetto con 2 punti di vantaggio sul Palermo (49) sconfitto a Taranto.
MARCHESI E IL GOL PROMOZIONE. L’Atalanta, da penultima sul campo, alla fine del 1957/58 avrebbe dovuto giocarsi la permanenza in A nello spareggio interdivisionale col Bari, secondo in B, ma al suo posto per effetto di quel caso tuttora misteriorissimo ci andò il Verona che tra parentesi scese lo stesso a far compagnia ai bergamaschi. Quel pomeriggio, al vecchio stadio ancora senza Curva Nord, il mediano sinistro di San Giuliano Milanese, che spegnerà 86 candeline il prossimo 11 giugno, fece giustizia di una sanzione ingiusta. La formazione di quella partita contro i Canarini: Boccardi; Cattozzo, Roncoli; Veneri, Gardoni, Marchesi (secondo da sinistra in piedi nella foto, tra Gustavsson e Angeleri); Olivieri, Ronzon, Zavaglio, Pensotti, Longoni. L’allenatore era l’austriaco Karl Adamek, che nella stagione precedente, quella del disonore mondato dalla tardiva assoluzione, aveva rilevato Giuseppe “Picaia” Bonomi, da giocatore la prima plusvalenza atalantina (alla Roma per 120 mila lire nel ’38) e a sua volta sostituto di Carlo Rigotti.
IL CASO AZZINI. Il lunedì prima del match incriminato col Padova, l’incontro col doppio ex (il portiere), il sensale di partite e il centromediano di casa, prima al ristorante “Tre Camini” di San Zeno Naviglio (Brescia) e quindi a Brescia a casa della fidanzata dell’ultimo Silveria Marchesini. Testimone chiave insieme al benzinaio di fronte, in via Piave, Pietro Torosani, nel processo intentato dalla Federcalcio con l’avvocato Cesare Bianco come inquisitore, mentre l’Atalanta venne rappresentata dai legali Cesare Graff ed Edoardo Facchinetti rivendicando la propria totale estraneità al caso. Niente da fare, per responsabilità oggettiva piombò l’ultimo posto come una scure, oltre alla radiazione del tesserato patavino che parimenti aveva protestato la propria innocenza. Una sentenza che provocò le dimissioni in blocco del consiglio d’amministrazione guidato dal senatore Daniele Turani, il presidente, portando all’interregno del commissario straordinario Clemente Mayer, delegato provinciale del CONI. Nel novembre ’59, coi bergamaschi di nuovo al piano di sopra, la riduzione a 2 anni della squalifica di Azzini, già sulla trentina, e il nulla da contestate alla società danneggiata dalla Corte d’Appello Federale. La giustizia sportiva funzionicchiava, anzi per niente: la Marchesini fu assoldata da Augusto Crovetto, ‘avvocato della Sampdoria, concorrente diretta in zona salvezza, con 3 milioni e mezzo; al benzinaio furono versate 700 mila lire dal consigliere del Verona Carlo Bonelli, che gli procurò anche un impiego e un appartamento a Milano. Ma tutti questi anni sono passati davvero?