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19 agosto: candeline per Prandelli e Defendi

cesare Prandelli

66 estati per l’orceano Cesare, maestro in campo e in Primavera, 38 per il Caniggia di Pognano rimasto disoccupato

Uno fa il nonno e l’agricoltore bio nei pressi di Firenze, l’altro forse strapperà qualche altro contrattino, da pro o semipro. Il 19 agosto festeggiano con torta e candeline due personaggi che nella storia dell’Atalanta non potrebbero essere più diversi. La grande levatrice di giovani che risponde al nome di Cesare Prandelli, già 149 partite 3 reti a pelo d’erba da centrocampista o libero prima di mettersi a insegnare calcio, scudetto e Viareggio Cup con la Primavera dei Tacchinardi, Locatelli e Morfeo nel 1993 a ruota del titolo nazionale Allievi, salvo concedersi un’avventuretta in panchina che contribuì tramite retrocessione alla caduta del Percassi atto I. L’ala-seconda punta-all around Marino Defendi, 83 e 6. L’uomo di sport di Orzinuovi che aveva iniziato a giocare insieme a Emiliano Mondonico alla Cremonese e con lui come allenatore smise proprio a Bergamo trentatreenne compie 66 estati, il famosissimo Caniggia di Pognano 38 da svincolato dalla Ternana, la cui tifoseria è in rapporti fraterni con quella nerazzurra. Una sorta di gemellaggio professionale, dalla curva al prato.

PRANDELLI: CHIAMATEMI CESARE. In una carriera da jolly iniziata in grigiorosso e col primo passaggio bergamasco nel 1978-1979 agli ordini di Titta Rota, Prandelli miete successi nella Juventus (1979-85) dei suoi tre scudetti (’81, ’82 e ’84), della Coppa Italia (’83), della Coppa delle Coppe (’84), della Supercoppa Uefa e della Coppa dei Campioni (’85) nella tragica notte dell’Heysel. Battendo il Liverpool da giocatore così come avrebbe fatto alla guida della Fiorentina, fermandosi in Champions agli ottavi col Bayern (2010) dopo aver inanellato anche le semifinali e i sedicesimi Uefa contro Rangers (ai rigori) e Ajax. Da portaborracce di chiunque, Furino, Tardelli e Platini inclusi, una parabola da 379 match conditi dalla doppia cifra e stop in termini di marcature.

MISTER PRANDELLI. Dietro la riga di gesso, dopo essersi cavato lo sfizio di 4 presenze nella splendida cavalcata del Mondo in Coppa delle Coppe con la squadra in B fino alle semifinali col Mechelen più il paio nel 1989 in Uefa contro lo Spartak Mosca, da professionista l’impatto è tremendo: 15 punti sui 48 disponibili quando la vittoria ne valeva 2, da subentrato in tandem col patentinato Andrea Valdinoci al troppo acerbo Francesco Guidolin, collezionando 3 successi, 9 pari e 12 ko. Ed ecco, a fine febbraio ’94, l’incipit dell’era di Ivan Ruggeri. Non gli andrà meglio a Lecce o in azzurro ai Mondiali brasiliani del 2014, uscendo grazie ai ko con Costa Rica e Uruguay nonostante la finalissima degli Europei persa a poker con l’imbattibile Spagna a Kiev solo 2 anni prima. Benissimo, invece a Verona e Venezia (riportate in A nel ’99 e 2001), nel biennio a Parma e di là dall’appennino con atalantini puri come Riccardo Montolivo e Giampaolo Pazzini; meno bene al Galatasaray, Valencia, Al-Nasr, Genoa e ancora in viola, chiudendo col mestiere sessantatreenne. Un signore, tanto sensibile da rinunciare alla Roma perché la moglie Manuela iniziava a stare male. E da prendersi le colpe della mala gestione a livello federale e mediatico del presunto fenomeno Mario Balotelli, assurto a simbolo di non si sa bene cosa: su 598 partite di club dirette da senior, 245 bottini pieni, 163 nulli e 190 battute d’arresto, oltre al record di 23-20-13 in Nazionale, un girarrosto per troppi tecnici.

DEFENDI, IL CANIGGIA DI POGNANO. Il buon Marino, invece, la Dea la portava meglio nel cuore e sulla pelle che con l’attrezzo di cuoio tra i piedi, dove pure se l’è sempre saputa cavare egregiamente. Non è che accumulasse tesori dalla stiva altrui da bucaniere provetto, ecco tutto. Era più che altro un esterno d’attacco senza un modulo adatto alle sue doti. Niente squilli di tromba nemmeno nei prestiti a Chievo e Lecce intersecati alle annate a casa sua (2004-2008 fino alla sessione invernale, con Andrea Mandorlini, Stefano Colantuono e Gigi Del Neri, 2008/9 e inizio 2010), prima di andare a parare a Grosseto e a titolo definitivo nel Bari e tra le Fere, dov’è considerato una bandiera avendo pure la possibilità di giocare insieme a compagni della sua stessa estrazione come Guido Marilungo e Dario Bergamelli. Bella coppia, però, con Gianvito Plasmati, 199 centimetri di morbidezza, una spanna più di lui, l’alternativa a Cristiano Doni dietro Sergio Floccari. 33 palle nel sacco e 35 assist in 522 giri di corsa, tutto sommato, non sono mica malaccio. Tanti auguri.

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