L’ex portiere dell’Atalanta: “Il momento è difficile, se non tragico, ma ci aggrappiamo al luogo comune che bergamasco che si rimbocca le maniche”
Bergamasco di nascita e nerazzurro di formazione (per avere fatto tutta la trafila del settore giovanile dell’Atalanta), Michael Agazzi ha il cuore diviso in due. Vede la sua città natale soffrire nella morsa del coronavirus, così come la sia città d’adozione, Cremona, che l’ha accolto da novembre del 2018, momento in cui è diventato portiere della Cremonese.
“Il momento è difficile, se non tragico. È morta mia zia e ogni giorno sento di un amico che ha perso un parente. Ma ci aggrappiamo al luogo comune che bergamasco che si rimbocca le maniche, lavora e ha un senso del dovere fortissimo. Vero, ma questo è stato anche un problema perché quando tutto è cominciato nessuno di noi voleva stare a casa. E le aziende non potevano chiudere – ha detto a La Gazzetta dello Sport -. La Cremonese è stata la prima a fermarsi. Senza dimenticare che il presidente Arvedi ha finanziato l’arrivo di 60 medici e infermieri per l’ospedale da campo di Cremona“.
“Ora è impensabile tornare a giocare. Amo il calcio, ma ora penso soltanto a chi non ce la fa, a chi è malato, a chi anche 20 giorni dalla guarigione si sente a pezzi – ha aggiunto -. Il calcio è uno sport di contatto, per ogni partita una società sposta 40-50 persone. Difficile immaginarsi la normalità”.