Vincere non è tutto, servono anche gli esempi. Per rimettere diritta la barra della professionalità, spostata da Radja Nainggolan fino a portarlo fuori rotta facendogli imbarcare l’acqua della polemiche per l’ennesima notte brava. Eusebio Di Francesco, sulla scia dello spirito vincente reclamato mercoledì a Trigoria dal direttore sportivo Ramon Monchi, ha deciso per la punizione esemplare: altro che multa (ci sarà anche quella), chi sbaglia paga e i cocci sono suoi, contro l’Atalanta uno dei giocatori della Roma più amati dal pubblico ci sarà, ma solo da spettatore illustre in castigo.
La Gazzetta dello Sport di stamani mette l’accento sulla musica cambiata in seno alla dirigenza e allo staff tecnico di fronte alle mattane dei protagonisti in campo. E paragona l’attuale condottiero all’ultimo degli hombre vertical visti da quelle parti, quel Luis Enrique bello, inflessibile e perdente. Lui, ai tempi, stagione 2011-2012, era quello che di tanto in tanto metteva fuori squadra per motivi disciplinari Osvaldo, De Rossi e Kjaer (la pertica danese della difesa, chi se lo ricorda?). Annata deludente.
Nella successiva un certo Zdenek Zeman si lamentò che le regole, lì, non venivano rispettate. Dopo sei rivoluzioni terresti, ecco un altro maestro di calcio dotato di saggezza e bacchetta. Il nazionale belga l’ha appena presa sulle dita. E il quotidiano rosa sembra subodorare perfino il ricorso al mercato in uscita per chi non fosse d’accordo col nuovo corso fatto di bastone e carota.