Come ogni buon bergamasco, Roberto Donadoni non è uno di tante parole, ma quando parla sa farsi sentire e capire. In una lunga intervista a La Gazzetta dello Sport ha attraversato tutta la sua carriera, raccontando storie reali e aneddoti curiosi come quelli legati agli Stati Uniti (“A New York ho capito che nel calcio ci si poteva anche divertire“) all’Arabia (“ho vissuto situazioni che non avrei potuto capire dai racconti altrui“.
Si parte con l’Atalanta: “A Bergamo ho avuto educatori e allenatori che mi hanno fatto diventare quello che sono adesso. Sono stati artefici del mio carattere ed è un patrimonio importante. Rimangono unici e indelebili. L’Atalanta è sempre stato un esempio importante per tutto il calcio italiano. Per la gestione, il lavoro con i giovani, la crescita continua“.
La sua casa adesso è Bologna e al di là della buona classifica c’è ancora molto da lavorare: “Il nostro potenziale offensivo è ancora inespresso. Una squadra come la nostra non può avere un bottino così misero. E in un momento positivo bisogna saper incidere ancora di più. Il Professionista con la P maiuscola in questi frangenti non si adatta, non si adagia, non si accontenta. Il nostro segreto è il lavoro di squadra“.
Tempo fa è stato accostato a un’altra squadra che ha segnato la sua storia, il Milan: “Ma si vede che il Milan non mi ha mai ritenuto all’altezza o ha pensato che altri fossero meglio di me. La chiusura dell’era Berlusconi mi fa pensare che si sta invecchiando. E non è piacevole“.
Grande Roby campione ma soprattutto grande uomo
Una persona veramente seria ed integra nel panorama calcistico italiano. Persona serissima e meritevole del massimo rispetto, incondizionato. Grande Roberto