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Auguri ad Alessandrelli, il vice di Zoff. Con comparsata a Bergamo

Entrò per Dino Zoff, dalla storia non è mai uscito. Suo malgrado. È socio di Flavio Briatore in quota locali chic, quindi della fama immeritata legata a quei maledetti 26 minuti in Juventus-Avellino, 13 maggio 1979 e 3-0 che si tramuta in 3-3 dopo il suo ingresso, potrebbe anche fregarsene. Poi venne a Bergamo per un placido e inoffensivo seguito di carriera, e ciò dà un senso a questo pezzullo. Ne fa sessantacinque oggi uno degli ex meno noti e nominati sotto la Maresana. Anche perché rimarrà legato per sempre a una rimonta altrui con un’altra maglia. A strisce, ma mica troppo amata quassù. È il suo ruolo di riserva di Maurizio Memo tra i pali nella Dea cadetta di Titta Rota versione 1979/80 a farne un destinatario del pezzo celebrativo di CalcioAtalanta.it in tema di compleanni. Vinse davvero solo quando stette a guardare, con Madama: 3 scudetti (1972, 1977 e 1978), la Coppa Italia nel 1979 e la Coppa Uefa del 1977, primo trofeo internazionale finito nella bacheca di Boniperti & Co.

Ma Giancarlo Alessandrelli, detto Radiolina perché la sua funzione da panchinaro del più grande del ruolo era di riferire i risultati delle dirette concorrenti, sarà ricordato in eterno per aver vanificato il triplo vantaggio Bettega-doppio Verza facendosi infilare due volte da De Ponti, per aver respinto corto su altrettante punizioni di Ugo Tosetto, detto immaginificamente il Keegan della Brianza dai bei tempi del Monza, e una da Peppiniello Massa che ne scherzò l’uscita con un lob delizioso. Al “Comunale” fu di passaggio nell’annata stanca e improduttiva (niente risalita, anzi a primavera 1981 ci si sarebbe ritrovati in C) da neo retrocessa, smazzandosi 14 match di campionato (7 gol incassati, segno che tanto male non era) e 2 in Coppa Italia.

Tra i compagni di allora, il fantasista anarchico “Gusto Gol” Scala e il bomber Ezio-Gol Bertuzzo, sette a cranio, mentre dietro esercitava il suo magistero di mastino il cavallo di ritorno Giovanni Vavassori. Un puntino nella parabola professionale del ragazzone di Senigallia cresciuto a Trastevere (e romano si è sempre considerato, essendoci andato ad abitare coi genitori a un anno d’età), nato calcisticamente nell’Ostiense di Ponte Marconi ma sfuggito al destino della Roma di Gaetano Anzalone, il suo primo presidente: per lui, subito Juve a diciott’anni, quindi la Ternana del “gioco corto” di Corrado Viciani da toccata e fuga in A, i prestiti ulteriori ad Arezzo e Reggio Emilia e il rientro in bianconero, quattro stagioni senza vederla salvo avvistarne un tris in ritardo nelle pupille da quel minuto 64 in avanti al posto del mostro sacro. Sanremese, Rondinella, Fiorentina e ancora la seconda squadra di Firenze le stazioni fino al capolinea nel 1986, a rimembrare da imprenditore dello svago (il Billionaire vi dice qualcosa? Idea sua) di quando sognava di fare le scarpe a un friulano che non smetteva mai tenendo la radiolina appiccicata all’orecchio. Tanti auguri.

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