53 primavere – anzi, inverni… – da uomini di calcio. Due fratelli di militanza. Ma chiamateli pure i gemelli diversi. Centrocampisti e approdati insieme a Bergamo, al culmine della prima era Mondonico, nell’anno del Signore 1989, solo che uno era un mediano con attitudini difensive e l’altro più vicino a una mezzala dei giorni nostri. Il primo, Roberto Bordin, sarebbe rimasto un quadriennio, il tempo di evitare la retrocessione in B; l’altro, Mario Bortolazzi, ballò una sola stagione, insaccandone due in campionato e altrettanti in Coppa Italia. Non solo Jasmin Kurtic. Oggi, mercoledì 10 gennaio, candeline anche per due protagonisti del passato dell’Atalanta, equamente divisi tra gli anni ottanta e novanta. Allenano entrambi: Bordin in Moldavia, da campione in carica e detentore della coppa nazionale, allo Sheriff Tiraspol; il veronese ex Fiorentina e Milan è al Bologna nello staff del bergamaschissimo Roberto Donadoni, con cui aveva chiuso la carriera da calciatore al Livorno e poi lo avrebbe seguito in panchina proprio in riva al Tirreno, nel Club Italia, nel Napoli e nel Parma.
Figurine che si staccano dall’album per aiutare i tifosi-millennials a coltivare la memoria storica di una Dea inferiore tecnicamente a quella attuale ma non troppo, forte dei vari Stromberg, Bonacina, Fortunato, Nicolini, Caniggia ed Evair, e comunque capace di infilare le ultime due avventure continentali consecutive prima di quella dei giorni nostri. Insieme al Mondo, per i due festeggiati, l’incrocio europeo in Coppa Uefa con lo Spartak Mosca, senza però incrociarsi mai in campo fuori confine. Il 12 settembre, nell’andata del primo turno a Bergamo, il brevilineo nato a Zawiya in Libia e cresciuto anche calcisticamente a Sanremo entrò alla mezzora della ripresa al posto di Mindo Madonna, salvo invertire le parti al ritorno a Mosca il 26, lasciando la zolla al compagno al 21′; il conterraneo di Romeo e Giulietta, invece, subentrato a Prandelli al 72′ quando ormai Cherenkov e Rodionov avevano chiuso ogni discorso.
In quell’unica annata per lui sotto le Mura, il più offensivo della strana coppia ci mise lo zampino in A nel 2-0 alla Cremonese e nel 3-0 alla Roma, andando in gol nel trofeo della coccarda nel poker alla Torres al primo turno (23 agosto ’89) aperto proprio dal compagno e contrassegnato dalla doppietta del Figlio del Vento e quindi nel successivo ai supplementari per avere la meglio sul Bari. Colui che a fine carriera al Vicenza e allo Spezia si sarebbe trasformato addirittura in centrale difensivo, invece, 5 in 122 allacciate di scarpe nel massimo campionato vestito di nerazzurro. A Cremona (1-1) e contro la Juve (1-2) subito, quindi nel 2-2 con la Roma nel giro di corsa dopo e, per concludere, Cagliari (2-1), ancora la Lupa (3-1: un auto-regalo, era il 10 gennaio) e il Genoa (1-2) all’ultimo atto nell’Atalanta di Lippi, anche se va giustamente più famoso il cabezazo per l’1-1 di Colonia ai sedicesimi Uefa nell’edizione persa ai quarti con l’Inter (e divisa tra Piero Frosio e Bruno Giorgi) prima di proseguire altrove (Napoli, Piacenza, Triestina; Taranto, Parma e Cesena nella vita pre orobica) e diventare l’ombra di Andrea Mandorlini seguendolo fino al Cluij del triplete rumeno nel 2010. Per l’altro, scudettato milanista con Sacchi, Tebaldi Verona, Mantova, Parma, Verona, Genoa, West Bromwich e anche Lecco, dove reincontrò Donadoni, vicino di spogliatoio in rossonero e da lì in poi mentore convinto. Augurissimi a tutti e due.
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