Da riserva di Pizzaballa a titolare nell’Atalanta, la squadra che l’ha proiettato nel grande calcio sotto Titta Rota. Ma Bodini è (ingiustamente) più noto come secondo di Zoff e Tacconi
Dal Bettinzoli del quartiere Don Bosco di Brescia all’apogeo continentale, con Bergamo e la Dea come rampa di lancio. Passerà sempre alla storia come colui che si vide negare la finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool all’Heysel, perché il posto gli venne soffiato da Stefano Tacconi che pure aveva sorpassato nella Supercoppa Europea contro i Reds e nella semifinale col Bordeaux con saracinesca abbassata su Jean Tigana. Eppure Luciano Bodini, decennio 1979-1989 alla Juventus iniziando da secondo di un certo Dino Zoff, all’Atalanta era riuscito a fare le scarpe al mostro sacro Pierluigi Pizzaballa, alias la figurina mancante, il più grande portiere della storia nerazzurra. Oggi il portiere bresciano nativo di Leno compie 66 anni con due stagioni bergamasche in prima squadra nel palmarès. Da prodotto delle giovanili.
BODINI, ATALANTINO A 13 ANNI. Dopo gli esordi in una squadretta dell’oratorio, il figlio d’arte (Giovanni giocò a Brescia, Piombino e Treviso in C e B) Bodini, portiere agile, scattante e dal grande colpo d’occhio, passato dal Lonato finì tredicenne nel vivaio atalantino insieme al gemello mancino Meraldo (poi Romanese, Fanfulla e Vigevano, tra D e C; il minore è Massimo): una mezzala, Gaetano Scirea era la punta e il futuro presidente Antonio Percassi lo stopper. Come professionista sarebbe stato lui, Luciano, a bagnargli il naso: qualche manciata di panchine nel 1971-1972, quando il secondo Antonio Rigamonti fece crac, ed esordio al piano di sopra, da prestito di ritorno dalla Cremonese (’74-’77) dell’Emiliano Mondonico giocatore (un’ala talentuosissima ma discontinua, ex dell’Atalanta anche lui) e di Giancarlo Finardi (compagno anche nelle giovanili), l’11 settembre 1977 a Bergamo contro il Perugia: un 1-1 in cui il nostro neutralizzò un rigore a Renato Curi. Contro gli umbri, ma a stadi invertiti, il famoso sasso che lo colpì l’11 marzo 1979 togliendolo di mezzo dopo l’autorete di Carlo Osti: ricorso, ma niente 2-0 a tavolino, rimase quello sul campo perché la colpa fu affibbiata ai tifosi atalantini.
BODINI, SALVEZZA E RETROCESSIONE. 8 presenze in campionato e 4 in Coppa Italia nella prima delle due annate piene, lanciato da un allenatore pratico e coraggioso nel gettare in mischia i giovani come Titta Rota, in compagnia dei vari Vavassori, Pircher, Mastropasqua, Festa, Scala, Bertuzzo, Marocchino, Filisetti, Mei, Osti e Prandelli. Poi, 24 nella sola massima serie con retrocessione, preludio all’addio definitivo. In bianconero, decennio da 45 presenze, mica poche, contribuendo da titolare anche a una Coppa Italia e a un Mundialito, in mezzo a 4 scudetti e 1 Coppa dei Campioni, 1 Coppa delle Coppe e 1 Intercontinentale. Poi Verona, Inter (squadra del cuore, ritiro da pro nel 1991) e i dilettanti in Versilia, dove vive (Marina di Pietrasanta) e dipinge tuttora, prima di aprire una scuola calcio da cui è uscito fra gli altri l’ex Empoli Marco Roccati e di seguire al Dundee in Scozia, da pioniere, i fratelli Dario e Ivano Bonetti. Tanti auguri, campione.
Un grandissimo portiere. Inqualificabile la Juventus che gli ha rovinato la carriera.